Il 4 febbraio 1982, viene arrestato a Firenze, durante una conferenza sindacale, Luigi Scricciolo, membro del Comitato centrale della Uil, con accuse, da parte di un pentito, di appartenenza alle Brigate Rosse e spionaggio a favore della Bulgaria.
Negli anni ‘60, aveva fatto parte dell’Unione dei Comunisti Italiani, successivamente in Avanguardia Operaia, nel Partito di Unità Proletaria e, infine, in Democrazia Proletaria.
Dal 1979, nel Dipartimento Internazionale della Uil. Durante questo periodo, ha rapporti con i dissidenti di Charta 77 e con gli afgani. Inoltre, è il primo italiano a parlare alla direzione di Solidarnosc e, a sua volta, invita Lech Walesa in Italia, nel 1981.
La sua vicenda giudiziaria si chiuderà, circa vent’anni dopo, senza un processo, con un totale proscioglimento in istruttoria, ma con una detenzione di due anni in carcere e un anno e mezzo ai domiciliari. Durante la reclusione la moglie chiede la separazione, perde la casa, tenta il suicidio e attua uno sciopero della fame che lo porta da novanta a quarantasei chili di peso. Dichiara “Digiuno per protesta, per alzare civilmente la voce, per chiedere attenzione al mio caso nonché colloqui con il giudice istruttore. Sono in carcere ormai da cinque mesi. Molte accuse, nessuna prova.”
Viene scagionato dalle prime imputazioni nel 1991, l’aver fatto parte del gruppo che rapì il generale Dozier. Il 6 settembre 2001 cadono le altre accuse.
Chiede un risarcimento, che, inizialmente, gli viene negato e, in seguito, riconosciuto per la modesta somma di ventunomila euro. Nel frattempo, era stato anche licenziato, ma il ricorso presentato ha successo e ottiene il reintegro. Ma la sua vita è irrimediabilmente segnata dalla vicenda.
“Dopo vent’anni non c’è giustizia” le sue ultime dichiarazioni prima della morte, avvenuta nel 2009.
Scricciolo ha raccontato la sua storia, il cui esito è sconosciuto ai più, nel libro “20 anni in attesa di giustizia”.